Musica e parola

Musica e linguaggio


La musica e il linguaggio sono facilmente associabili ad intuito: si potrebbero entrambi definire come un sistema comunicativo che passa attraverso uno stimolo sonoro, che giunto al sistema uditivo centrale viene elaborato e può produrre risposte motorie ed emotive; inoltre, è scomponibile in più livelli (unità, lessico e sintassi). Le similitudini trovano il loro totale punto di incontro nel canto e nella prosodia.
L’avanzare delle tecnologie di neuroimmagine ha aperto la porta alla domanda che sorge spontanea: la musica e il linguaggio si influenzano?

Sono numerosissimi gli studi che indagano tale aspetto, ma purtroppo sono anche molte le criticità:

- la prima grande difficoltà risiede proprio nella complessità stessa dell’ingente organizzazione cerebrale per l’elaborazione del linguaggio e della musica;

- non si hanno ancora teorie univoche riguardo la possibilità che la musica abbia una sua collocazione specifica ed esclusiva nel substrato cerebrale o se sia piuttosto un esercizio dell’intelligenza (un riflesso del funzionamento generale del cervello) dal momento che alcuni studi individuano aree pressoché costanti attivate in riferimento alla musica, mentre altri studi evidenziano alcune sovrapposizioni con le aree linguistiche;

- solitamente nelle ricerche vengono coinvolti “cervelli non fisiologici” e quindi difficilmente si possono generalizzare i risultati ottenuti;

- un’altra difficoltà è relativa alla plasticità cerebrale, infatti, quando un individuo si iperspecializza musicalmente (es. musicisti professionisti) le aree cerebrali maggiormente attivate si modificano aumentando notevolmente le interconnessioni interemisferiche a differenza degli individui musicalmente non preparati;

- bisogna tener conto che il mondo musicale coinvolge in modo consistente anche le aree deputate all’elaborazione delle emozioni complicando ulteriormente la possibilità di un’analisi “pulita” di ciò che avviene a livello cerebrale.

Integrando le varie ricerche si potrebbe ipotizzare che le aree deputate alla musica ed al linguaggio siano diverse ed adiacenti ma seguano un percorso ed un’elaborazione molto simili.
In attesa che il mondo scientifico dia risposte certe sui meccanismi neurobiologici, possiamo andare ad osservare gli effetti concreti delle stimolazioni collegate al mondo musicale.

Se dovessimo ipotizzare ad intuito ciò in cui la musica può influire maggiormente sul linguaggio nomineremmo sicuramente la discriminazione uditiva fonologica per prima.

Gli studi più recenti in verità demoliscono questa ipotesi (ad eccezione nelle lingue tonali) mentre fanno emergere un aspetto alquanto inaspettato: l’importanza del RITMO nel linguaggio.

Fino ad ora il coinvolgimento dell’elaborazione ritmica nei processi linguistici è stato piuttosto sottovalutato se non nelle difficoltà della fluenza (es. balbuzie), ma le ultime ricerche sono concordi nel mettere in risalto tale funzione anche nell’acquisizione del linguaggio;

è stata riscontrata una correlazione tra le capacità di sincronizzazione ritmica con la stabilità dei processi subcorticali del parlato nei bambini di 3-4 anni

e che il ritmo parlato ed il ritmo musicale condividono le stesse risorse neurocognitive;

maggiori capacità di discriminazione ritmica sono anche associate a maggiori capacità di comprensione frasale (n.b. non lessicale) nello “speech in noise”, cioè l’ascolto di frasi con rumori di sottofondo tali da disturbarlo

non dovrebbe stupirci a questo punto che in generale i musicisti riescano meglio in tale compito se ci si ritrova nella situazioni del cosiddetto “cocktail party”.

È stata studiata anche la competizione tra gli aspetti ritmici e di significato nel riordino di frasi in lingua madre ed in un’altra lingua per vedere quali dei due viene utilizzato maggiormente ed è risultato che non è presente un tratto dominante, ma si sovrappongono in base alle necessità.

Si è inoltre visto che nel processamento ritmico vengono attivate aree legate all’anticipazione nel linguaggio e nella lettura.

Il pregiudizio ritmico sembra non essere collegato all’esperienza musicale in produzione, ma alla tipologia di ascolto,

bisogna però tener presente che si parla sempre di “ascolto attivo” mentre il sentire musica in accompagnamento ad altre attività è stato rilevato come ostacolo ad altri apprendimenti (nei bambini con difficoltà linguistiche).

Numerosi studi hanno ormai consolidato che la pratica musicale sia correlata in modo diretto con le funzioni esecutive e con maggiori capacità mnesiche, in particolare con la memoria di lavoro (WM);

è interessante un recente studio che paragona musicisti a persone bilingui per identificare se il bilinguismo aumenta le capacità cognitive, ma è emerso che l’aumento di WM è collegato solo alla specializzazione musicale e non ad un generico aumento delle
capacità di analisi uditiva.

Nei musicisti si sono notate maggiori capacità di rappresentazione mentale sonora del segnale linguistico e di accoppiare i suoni con le rappresentazioni già interiorizzate nella memoria, si potrebbe quindi intuire che gli esperti musicali abbiano una maggiore categorizzazione percettiva del linguaggio.

Sono stati studiati gli effetti di un ambiente musicalmente arricchito per verificare se ciò da solo bastasse a prevedere delle buone performance nei compiti in cui sono implicate le funzioni esecutive, i risultati hanno negato tale ipotesi, ma hanno evidenziato che può influenzare il quoziente verbale.

Tali studi prospettano la possibilità che la musica influenzi positivamente anche l’ampliamento del vocabolario interno con maggiore categorizzazione utile ai fini di un reperimento lessicale veloce.
Più ricerche hanno evidenziato come la specializzazione musicale renda maggiormente capaci nel riconoscimento delle emozioni della prosodia nel parlato.

Dopo tali premesse non ci si sorprende nello scoprire che nell’età involutiva i musicisti preservano le capacità di discriminazione dell’eloquio più a lungo dei coetanei.

Sino a questo punto sono state trattate ricerche riguardanti situazioni “fisiologiche”, ma è sicuramente nella pratica clinica che emergono maggiormente le potenzialità della musica nello sviluppo del linguaggio.

Ormai è un dato più che consolidato che l’uso della musica in trattamento aiuti le persone con impianto cocleare ad acquisire una miglior capacità di analisi della prosodia

e di conseguenza ottenere un eloquio più naturale in produzione.
Esiste anche uno studio effettuato con bambini con deficit di udito in cui è stata valutata la percezione dello scorrere temporale nelle interazioni verbali attraverso un compito di presa del turno ed è emerso che tale capacità è aumentata non dopo i 30’ di logopedia, ma dopo 30’ di allenamento ritmico-musicale.

Vi sono diversi studi che analizzano come i training musicali siano adatti nell’afasia post-stroke, in particolare è stato provato che agisce migliorando l’interfaccia tra il language e lo speech.

Uno studio tutto italiano ha dimostrato come nel trattamento dell’afasia l’associazione della musicoterapia con la logopedia dia maggiori benefici rispetto al solo trattamento logopedico.

Altre interessanti e recenti ricerche indagano la possibilità che i bambini con disturbo specifico di linguaggio (DSL) abbiano difficoltà nel maneggiare materiale musicale, in particolare è stata riscontrata una correlazione tra DSL e decalati percezione melodica/melodicaritmica e riconoscimento melodico

avendo tali difficoltà “in entrata” ci risulta semplice comprendere perchè in generale i bambini con DSL presentino minori capacità
canore.

Sono numerosissimi gli studi recenti che vedono coinvolte anche altre difficoltà o patologie della comunicazione in cui vengono
analizzati/utilizzati aspetti musicali (es. la musicoterapia nell’autismo, allenamento ritmico nelle persone con balbuzie,...), ma già da tempi più lontani sono state create tecniche di trattamento provenienti da varie culture ed in diversi periodi storici che sfruttano le abilità musicali a sostegno dei trattamenti del linguaggio; sicuramente il ricercatore più noto è Peter Guberina, fondatore del metodo Verbo-Tonale da cui in seguito si sono strutturate tre discipline che affrontano aspetti differenti: Ritmo Corporeo (Laban Cibke), Grafismo Fonetico (Aldo Vinko Gladic) e Ritmo Musicale (Zora Drezancic).

Ritornando al quesito iniziale la risposta è dunque “Sì”, la musica ed il linguaggio si influenzano anche se ancora non se ne comprende esattamente la dinamica, ma, parafrasando una famosa ricercatrice di Montreal ...

il problema forse non è la difficile interpretazione delle risposte, ma che non si sono ancora individuate le giuste domande.

ParLAmi
ParLAmi
Anna Accornero - Chiara Parisella
I bambini che faticano a comunicare possono spesso avere problemi non solo nel linguaggio, ma anche nella musica - discriminazione uditiva, percezione ritmica, movimenti fini, coordinazione. La pedagogia musicale risulta un approccio ideale per la sua semplicità e immediatezza, sviluppando abilità sonore e musicali in un modo giocoso e offrendo un ambiente sicuro che promuove la comunicazione.Ecco perché abbiamo creato un progetto per fornire strategie operative utili a insegnanti, educatori, professionisti e genitori che desiderano stimolare le abilità linguistiche attraverso attività musicali. Abbiamo anche incluso una sezione dedicata a genitori/educatori che si occupano di bambini da 0 a 3 anni.Le attività proposte non sono lezioni di musica, ma piuttosto strumenti terapeutici per supportare, non sostituire, la terapia del linguaggio. Sono suggerimenti che possono essere adattati alle esigenze specifiche del bambino e del contesto.Per rendere queste attività accessibili a tutti, abbiamo incluso file audio delle canzoni suggerite. Tuttavia, raccomandiamo l'esecuzione dal vivo senza l'uso di tecnologia per fornire un modello di imitazione efficace.